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Heysel: La coppa della vergogna
- Updated: 28/05/2015
Sono le sette e venti. Le sette e venti è l’orario in cui qualcuno di noi esce dal lavoro, qualcuno è al Supermercato a fare la spesa o al pub a bere una pinta chiacchierando con il barista dell’ennesima annata storta del Milan. Qualcun altro è già a casa e sta preparando la cena. Alla fine le “sette e venti” è solo l’ennesimo minuto di una giornata come tutte le altre, minuto che in una vita conta niente. E invece proprio quel minuto di 30 anni fa ha per sempre cambiato la storia del calcio moderno. Quella che doveva essere la partita, il trionfo con la finale di Coppa Campioni tra il Liverpool e la Juventus si trasforma in una tragedia. Alla fine di quasi due ore di panico, di urla e di terrore, di paura e di delirio, si contano 39 morti (di cui 36 italiani, il più vecchio di 58 anni e il più giovane di 11 anni) e oltre 600 feriti.
Sappiamo tutti come è andata, tutti abbiamo quelle immagini negli occhi. Tutti possiamo immaginare cosa hanno provato, possiamo sentire le urla di panico della gente che scappa, di chi cerca salvezza dai cancelli d’ingresso e che trova chiusi con i lucchetti o di chi prova ad entrare in campo ed è ricacciato indietro dalla polizia belga a cavallo che sventola manganelli contro quelle facce che non sono da delinquenti di periferia ma di quelle che potrebbero essere di tua madre, di tuo figlio o di tuo padre. La polizia non capisce cosa sta succedendo, non capisce che gli Hooligans del Liverpool hanno suonato il “take an end”, prendi la curva. Il panico è totale: sono famiglie non sono avvezze a confrontarsi con gente che ha fatto dello scontro fisico e della violenza uno stile di vita. A decine sono soppressi nella calca del fuggi-fuggi generale, a decine muoiono schiacciati sotto il muro che tentano di scavalcare.
Sono le ventuno e quaranta. L’arbitro fischia il calcio d’inizio. Poco prima Scirea dai microfoni dello stadio invitava i tifosi alla calma. Sapevano cosa era successo, lo sapevano sì. Non potevano non capire cosa era avvenuto se un intero settore dello stadio, lo Z, era vuoto, transennato e macchiato dalle cose perse dei tifosi. La partita si gioca comunque per motivi di ordine pubblico: “La Juve accetta disciplinatamente, anche se con l’animo pieno di angoscia, la decisione dell’Uefa, comunicata al nostro presidente, di giocare la partita per motivi di ordine pubblico”. Fischio d’inizio. Altro fischio quando Platini viene atterrato, fuori area, e l’arbitro concede il rigore. Segna e esulta con il pugno alzato. Poteva risparmiarselo il francese, ma l’agonismo è l’agonismo e anche se completamente surreale è pur sempre una finale di Coppa. Vinciamo 1-0. Giro di campo. Potevano risparmiarsi anche questo ma sono uomini ed pur sempre una finale di quelle che sogni da bambino.
Io non sono orgogliosa di quella vittoria. Non lo sono per nulla. Sono juventina fino al midollo e ho lottato contro due fratelli interisti (interisti e sappiamo tutti cosa vuol dire), difeso la Juventus sempre, anche quando tutti sputavano merda contro di noi, anche quando siamo andati in B, anche quando abbiamo preso quel bidone di Krasic ma no per quella partita no, non ci riesco. I sogni di un bambino che calcia un pallone al campetto contano meno della vita di 39 persone.
Valentina De Novellis
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